Paolo Caligiore
Premio
A Paolo Caligiore
Per il suo impegno nell’associazionismo antiracket e per la legalità
PAOLO CALIGIORE
Otto attentati in cinque mesi. Fu la stagione di fuoco di Palazzolo nel 1991. Tre furono solo per Paolo Caligiore. Nella notte tra il 23 ed il 24 aprile, saltò la serranda di uno dei due supermercati. Fu un fulmine a ciel sereno perché la famiglia Caligiore, che aveva quei supermercati già da 20 anni, non aveva mairicevuto richieste estorsive. Palazzolo era considerata l’isola felice di tutta la provincia di Siracusa,faceva scalpore anche il semplice furto di un autoradio. Dopo una settimana arrivò la telefonata di rito e dall’altra parte della cornetta gli fu detto che doveva preparare molti soldi e cercarsi un amico che sicuramente lo avrebbe aiutato a risolvere la faccenda.Denunciò tutto ai carabinieri ma non c’era la stessa preparazione di oggi. Pensarono che potesse essere uno ‘sgarro’ per questioni personali o di concorrenza. Dopo 10 giorni fu preso di mira un artigiano ed un altro supermercato di una catena franchising. Caligiore scrisse una lettera aperta ai commercianti e li convocò tutti nella sala consiliare. Si contarono in più di 100e tutti con la stessa motivazione. D’accordo con i carabinieri del Nucleo operativo di Siracusa subentrato alla stazione dei carabinieri di Palazzolo, Caligioreprendeva tempo con gli estorsori che continuavano a chiamarlo e minacciarlo.Tra maggio e giugno intorno a mezzanotte, gli fecero saltare il cancello di casa. La stessa casa nella quale viveva con moglie e con due bambini piccoli di nove e cinque anni. Suo figlio, un giorno, gli disse: «papà non voglio fare il commerciante, è troppo pericoloso». Una frase spontanea che gli fece raggelare il sangue. I mafiosi avevano rotto gli schemi ma Caligiore non aveva nessuna intenzione di cedere. A luglio nel supermercato che gestiva con il fratello gli venne fatta trovare una testa di cane mozzata e alle 11 gli arrivò un’altra telefonata. «Mi dissero che se non avessi pagato avrei fatto la stessa fine di quel cane. Tentavo di farli uscire allo scoperto ed intanto continuavo ad organizzarmi con gli altri commercianti con cortei e manifestazioni. E anche con le ronde». A gruppi di tre o quattro persone giravano di notte per sorvegliare i punti sensibili. Nessuno lo doveva sapere e per alcuni mesi nessuno lo seppe. Chiesero di incontrare il Prefetto ma furono rifiutati.«Ci risposero che non poteva perdere tempo», ricorda Paolo. Tra il 13 ed il 14 agosto arrivò la terza bomba, in quello stesso supermercato dove era stata ritrovata la testa di un cane mozzata. Fecero saltare tutto ma l’imprenditore non chiuse. Organizzò subito i lavori di ripristino ed il mattino dopo erano già all’opera. Gli estorsori non si fermarono e neppure i commercianti.«Il 29 agosto fu ucciso Libero Grassi a Palermo e quell’omicidio – spiega Caligiore- gli imprenditori siciliani che non avevano accettato il racket se lo sentirono sulla pelle. A settembre, sempre a Palazzolo, fu preso di mira un negozio di mobili e da quel momento in poi si venne a sapere che ci eravamo organizzate in ronde. Avevamo studiato gruppi e turni per un anno. Non pensavamo di risolvere il problema. Non ci sentivamo neppure i giustizieri della notte ma eravamo spinti da una forza indescrivibile. C’era una guerra e avevamo deciso di combattere con le uniche armi che potevamo usare: la denuncia e la solidarietà fra noi. Con l’articolo a firma di Sandra Bonsanti di La Repubblica ottenemmo l’attenzione di quei media che non avevamo avuto in cinque mesi di bombe». Intanto l’associazione antiracket che si sarebbe ufficialmente costituita il 28 febbraio del 1992, dedicato a Pippo Fava aveva cominciato a muovere primi ed importanti passi con la creazione di un comitato spontaneo e con la sottoscrizione nel mese di dicembre di 106 persone unite contro le estorsioni. A Caligiore fu offerto un servizio di scorta. La notizia gliela portò Tano Grasso ma Paolo rifiutò:«L’avrei data vinta a chi avrebbe voluto gestire la mia esistenza. Alla fine ho avuto ragione».